domenica 17 marzo 2013

I più e i meno o algebra familiare


Sei una gomma da masticare a forma di sfera, di quelle a un euro l'una, delle macchinette fuori dalle tabaccherie.
Due vanno lì, la vedono: ne vogliono una. Quella rossa, quella lì, quella che indicano col dito sul vetro. Va bene: possono permettersela. Oppure no, è tutto quello che hanno ma è ora che vivono e hanno già il gusto che gli riempie la bocca e si perde subito. Così infilano la moneta e girano due volte: è blu.

Da qualche parte deve esistere una macchinetta per distribuire figli a casaccio; e un'altra in cui si distribuiscono padri e madri. Non c'è ancora e vuoi che sia un maschio, lo vuoi con gli occhi suoi e viene con gli occhi di nessuno; vuoi che non pianga, che dorma e mangi così tu puoi dormire e mangiare e magari non piangere; vuoi che sia uno studente attento e meritevole, per sentirti anche tu attento e meritevole, per una strana proprietà transitiva. Vuoi che sia indipendente ma non prepotente: che abbia carattere ma non lo usi come una pistola, contro di te che lo hai messo al mondo. Dici di volerlo vedere felice perché felice vuoi esserlo tu, avresti voluto esserlo e puoi ancora esserlo, sempre per quella strana proprietà transitiva. Vuoi che abbia una vita diversa dalla tua, e magari lui la vuole uguale o di un diverso che comunque non va bene. Oppure può starti tremendamente sulle scatole perché alla vita diversa, quella che avresti voluto, ci sta arrivando e allora non va bene due volte: perché te lo sbatterà in faccia ogni volta (o almeno ti sembrerà così), perché ha avuto più coraggio di te, perché a un genitore non è consentito avere certi pensieri. Ah, le volte sono tre, non due.

Anche i genitori li vorresti diversi; più simili a quelli di quel tuo amico, magari.
Soprattutto una cosa non capisci: sanno cosa significhi essere “figlio”, sentire di avere tutto in mano e poi nulla un attimo dopo, eppure sembrano averlo dimenticato; quando tu hai aperto gli occhi per la prima volta e loro deciso che ti proteggeranno da tutto, tranne da loro stessi. Non sanno come ma che di sicuro non faranno come i loro, di genitori; iniziano le sottrazioni, le addizioni: meno di questo, più di quell'altro. Lui può finalmente dimostrare che suo padre sbagliava nel pretendere che si comportasse già da uomo, lei che sua madre pure sbagliava nel trasmetterle la sua maledetta apprensione.

Chissà perché si è convinti che si farà sempre meglio. Forse perché in fin dei conti si continua a ragionare sempre da figli e da figli si fanno figli non per generosità ma per egoismo, per competizione, per risarcimento del danno, per completare la propria vita, per darle un senso, perché senza ci si sente troppo soli o troppo tristi. O per errore. O per amore.
Pensi che quando sarà grande capirà, che non te la sia cavata male, che abbia fatto del tuo meglio eppure nella sua stanza c'è già qualcuno che fa addizioni e sottrazioni. Che pensa a quel suo amico, davvero fortunato.

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