Sei una gomma da
masticare a forma di sfera, di quelle a un euro l'una, delle
macchinette fuori dalle tabaccherie.
Due vanno lì, la vedono: ne vogliono una. Quella rossa, quella lì, quella che indicano col
dito sul vetro. Va bene: possono permettersela. Oppure no, è tutto
quello che hanno ma è ora che vivono e hanno già il gusto che gli
riempie la bocca e si perde subito. Così infilano la moneta e girano
due volte: è blu.
Da qualche parte deve
esistere una macchinetta per distribuire figli a casaccio; e un'altra
in cui si distribuiscono padri e madri. Non c'è ancora e vuoi che
sia un maschio, lo vuoi con gli occhi suoi e viene con gli occhi di
nessuno; vuoi che non pianga, che dorma e mangi così tu puoi dormire
e mangiare e magari non piangere; vuoi che sia uno studente attento e
meritevole, per sentirti anche tu attento e meritevole, per una
strana proprietà transitiva. Vuoi che sia indipendente ma non
prepotente: che abbia carattere ma non lo usi come una pistola,
contro di te che lo hai messo al mondo. Dici di volerlo vedere felice
perché felice vuoi esserlo tu, avresti voluto esserlo e puoi ancora
esserlo, sempre per quella strana proprietà transitiva. Vuoi che
abbia una vita diversa dalla tua, e magari lui la vuole uguale o di
un diverso che comunque non va bene. Oppure può starti tremendamente
sulle scatole perché alla vita diversa, quella che avresti voluto,
ci sta arrivando e allora non va bene due volte: perché te lo
sbatterà in faccia ogni volta (o almeno ti sembrerà così), perché
ha avuto più coraggio di te, perché a un genitore non è consentito
avere certi pensieri. Ah, le volte sono tre, non due.
Anche i genitori li
vorresti diversi; più simili a quelli di quel tuo amico, magari.
Soprattutto una cosa non
capisci: sanno cosa significhi essere “figlio”, sentire di avere
tutto in mano e poi nulla un attimo dopo, eppure sembrano averlo
dimenticato; quando tu hai aperto gli occhi per la prima volta e loro
deciso che ti proteggeranno da tutto, tranne da loro stessi. Non
sanno come ma che di sicuro non faranno come i loro, di genitori;
iniziano le sottrazioni, le addizioni: meno di questo, più di
quell'altro. Lui può finalmente dimostrare
che suo padre sbagliava nel pretendere che si comportasse già da
uomo, lei che sua madre pure sbagliava nel trasmetterle la sua
maledetta apprensione.
Chissà
perché si è convinti che si farà sempre meglio. Forse perché in
fin dei conti si continua a ragionare sempre da figli e da figli si
fanno figli non per generosità ma per egoismo, per
competizione, per risarcimento del danno, per completare la propria
vita, per darle un senso, perché senza ci si sente troppo soli o
troppo tristi. O per errore. O per amore.
Pensi che quando sarà
grande capirà, che non te la sia cavata male, che abbia fatto del
tuo meglio eppure nella sua stanza c'è già qualcuno che fa
addizioni e sottrazioni. Che pensa a quel suo amico, davvero
fortunato.
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