domenica 15 giugno 2014


Quando penso alla mia di casa, penso al mare. E il mio mare ha una donna davanti. Una donna sdraiata sul mare, vestita di granito e di verde muschio. Bella, come il mare che ne imita i colori, solo per compiacerla: rosa, grigio, di un verde profondo, di un azzurro quasi bianco.
Nelle giornate di scirocco è capricciosa e nasconde i suoi malumori con una fitta nuvola che le copre il viso, anche per settimane: si sa, le donne possono essere molto capricciose. Allora tu la guardi da lontano e, man mano che passano i giorni, ne senti sempre più la mancanza: la mancanza di quelle linee nette, di quella presenza che c'è, sai che c'è, è lì da qualche parte, ma ormai ti sembra di poterla solo immaginare.

Poi succede che arriva un vento, un vento amico e tagliente che le sussurra, a volte le urla: “guarda che ti vedo, anche se ti nascondi!”. Così terra e aria si affrontano, litigano, sempre per giorni dispari; spesso furiosamente, come solo possono fare due elementi così diversi: lei immobile, materia; lui impalpabile, movimento puro. Alla fine uno dei due vince, o perdono tutti e due, chissà. Ad ogni modo, lei si decide e viene fuori, splendente, sempre più sola - in mezzo a quel mare - e sempre più splendente, come scriveva Alda Merini.

Quando penso alla mia casa, penso a lei. Penso a quella donna distesa sul mare; alla leggenda che qualcuno mi ha raccontato, molto tempo fa. Una di quelle leggende che sai non può essere vera, nemmeno minimamente vera, eppure in qualche modo deve esserlo perché è così illogico che un grosso scoglio in mezzo al mare abbia le forme di una donna sdraiata, di una donna che dorme su un letto di piume verdi.

Lei è una donna indiana capitata su quella roccia, non si sa perché né come, né quando. Lui è lo scoglio su cui lei cammina, la roccia su cui lei si poggia, la terra su cui lei si muove, vive. E vive a lungo, ma non per sempre. Perché lei è solo una persona e le persone non vivono per sempre. Lasciano, però, in chi le ha conosciute, un gesto, una parola, un pensiero; un'impronta. E questa volta l'impronta si è fatta profonda, si è fatta solco.
Secondo la leggenda quello scoglio un giorno, non si sa come né quando, ha preso le forme di quella donna, di quel corpo che aveva vegliato per anni mentre lei dormiva sulla spiaggia, solo per poterla guardare, per sempre. Perché lui non è una persona e può vivere, per sempre.

Quando penso alla mia casa, penso al mare e a lei.
A lei che anche adesso dorme con il profilo rivolto verso il cielo. E a me che la guardo da lontano e spero che lo scirocco non arrivi troppo presto, a coprirle il viso.


domenica 15 settembre 2013


È sabato pomeriggio e una ragazza entra in un negozio di intimo. Sulla trentina, forse trentadue, trentatré anni, lentigginosa, piacevolmente paffuta; di quelle che stanno simpatiche a pelle  perché sembrano distese, con lo sguardo morbido, non diffidente o tirato dai nervi come quello di chi è convinto che le calorie siano un virus che si contrae per via aerea. 
Si rivolge a una commessa: chiede un body. Un incrocio tra Amy Winehouse e un pitbull tatuato le risponde: “Lo vuoi sexy?”. E lei, timida, minuscola in quella moltitudine di chiome che si muovono veloci e rapaci, si guarda intorno e dice: “Sì” ma in quel vociare si vedono solo i suoi capelli a caschetto, di un castano miele, ondeggiare in su e in giù per un momento. Poi si fermano su un microbo pezzo di pizzo che da nero sul décolleté diventa tutto beige-carne, trasparente fino all'interno coscia. Lo gira: è un tanga. “Chissà cosa dirà lui!”, glielo si legge in quegli occhi che si sono fatti maliziosi, in quel viso paffuto e ora più colorato sulle guance, lo stesso che un momento prima aveva tutta la mia simpatia e adesso detesto. 
Mi chiedo perché abbiamo voluto questa diamine di emancipazione. Per dimostrare di poter lavorare come un uomo, pensare come un uomo, fare sesso come un uomo, direte voi. Bene, allora perché quando dobbiamo portarcene a letto uno ci agghindiamo della serie “Io Tarzano, tu Jane”? Mica siamo nella giungla. Mica siamo delle prede. Mica l'uomo è cacciatore per davvero. Altrimenti che lo dimostri e prima dei preliminari ci porti due gazzelle e un bufalo da mangiare per cena. E non pensiate che mi beva quella boiata che sciorinate ogni volta vi dobbiate difendere a proposito del compiacimento verso gli uomini: che lo fate per voi, che così vi sentite belle, che vi sentite bene e a vostro agio perché sarebbe come dire che con un filo da pesca che vi sfrega tra le natiche siete così serene e pacifiche!
Probabilmente a credervi sulla parola sono gli stupidi ometti di cui vi circondate, quegli ominidi che anche solo a supporre la parola “supposta” vi guardano con occhi di fuoco, come un eroe epico che preferisce morire con onore piuttosto che... far entrare nel suo buco dorato anche solo uno spillo; gli stessi eroi omerici che quando mettono le infradito si sentono violati in quella parte del corpo santa e mai profanata che è l'incavo tra l'alluce e l'indice. Volete davvero mettervi alla stregua di questa razza di bovino?

Siete belle, donne. Siete belle così. Siete attraenti, affascinanti, intelligenti, ironiche, interessanti, senza che dobbiate sembrare un'altra: una bomba sexy, wonder woman o qualcosa di simile. Amatevi e pretendete di essere amate, così.

Pretendete un uomo che si innamori follemente delle vostre idee e del vostro fervore; pretendete un uomo che sia affascinato dal vostro coraggio quando parlate a viso aperto; che vi rispetti come donna e come individuo; che adori la vostra risata quando scoppia all'improvviso; un uomo che sappia farvi ridere come nessuno, piangere come nessuno, arrabbiare come nessuno; pretendete un uomo che sia appassionato alle vostre curve ma anche ai vostri piedi, alla linea delle vostre braccia, alle vostre mani; un uomo che intuisca il vostro umore a una sola occhiata e riconosca la vostra camminata tra mille altre; un uomo che non voglia cambiarvi e vedervi "un po' più di quello e meno di quell'altro";
pretendete un uomo che ami vedervi libere;
pretendete un uomo che voglia vedervi, voi.