Il laboratorio di Angela Caputi, Giuggiù, non poteva che trovarsi nell'Oltrarno. Non solo perché lì secoli fa sono nate le storiche botteghe degli artigiani fiorentini. Non solo perché oggi qualcuna resiste, seppur a fatica, schiacciata dalla grande distribuzione. Ma perché lì c'è la roccaforte di una città che è sopravvissuta al fuoco di due guerre mondiali: via Maffia, “bella a ogni ora del giorno”, via Santo Spirito e gli infiniti vicoletti che si perdono verso il quartiere di San Frediano. Lì dove ancora tutti si salutano, dove il cuore dell'artigianato e della gente sembra battere più forte. Angela Caputi ha scelto la sua casa, il luogo nel quale esprimere al meglio la sua creatività. Forse perché quel posto, quelle strade, le somigliano più di ogni altra cosa. Entrambe hanno lottato per sopravvivere, per non essere distrutte dalla guerra, e dalla vita. Oggi è una delle designer fiorentine più amate e apprezzate nel mondo per le sue collezioni di bijoux unici e inimitabili per gusto, stile e design. Nel 1975, quando ha iniziato in una piccola bottega vicino a piazza Beccaria, Angela era una ragazza di vent'anni con due figli a carico e nel cuore il peso di una tragedia che le fa ancora luccicare gli occhi: la perdita di suo marito. “Facevo l'insegnante ma ho dovuto lasciare il mio lavoro e inventarmene un altro che mi permettesse di badare ai miei figli: sono diventata imprenditrice di me stessa”, spiega.
Costretta a cambiare tutto della sua vita, Angela decide di puntare tutto sul suo talento e su quella passione che da sempre l'ha guidata: la moda e quei gioielli di bigiotteria coloratissimi e appariscenti che vedeva al collo delle dive del cinema americano degli anni “ruggenti”. “La mia idea era quella di aprire un'azienda che creasse bijoux, non mere imitazioni del gioiello ma oggetti che avessero una vita a sé”, spiega. Una sfida nella sfida. Angela, infatti, ha dovuto lottare due volte per tentare di emergere: per convincere le signore fiorentine ad acquistare accessori che all'epoca venivano considerati poco preziosi, perché fatti di plastica e materiali sintetici; per dimostrare ad una società fortemente maschilista che il talento non le mancava di certo e nemmeno il coraggio di rischiare “là dove non puoi sbagliare”, in Francia, nella patria del gioiello dove all'inizio tutti la guardavano con diffidenza. Gli stessi che poi dovranno ricredersi; i primi clienti sono proprio i francesi, poi arrivano i giapponesi e gli statunitensi, finché anche le donne di Firenze si convincono, affascinate dalle creazioni di Angela che sempre più di frequente decorano i decoltè delle turiste straniere che arrivavo in città e delle protagoniste di Dynasty – il famosissimo film degli anni '80.
Inizia così, grazie al passaparola, il successo di Angela Caputi, consacrata come artista internazionale nell'Alta Moda e in importanti musei come il Metropolitan Museum of Art di New York, più volte insignita di premi, da quello “Firenze Donna” nel 2003 al “Simonetta Vespucci” nel 2006. Riconoscimenti belli perché “mai chiesti”, perché le ricordano ogni giorno qualcosa che Angela sente in maniera viscerale: essere una donna. Una donna che sa quanto sia difficile badare a tutto – al lavoro, ai figli, alla casa – quanto ci si debba sforzare, il doppio, il triplo rispetto a un uomo, per ottenere qualcosa. Per questo ha deciso di lavorare per loro, di creare gioielli che le valorizzino – giocando con i materiali “come uno stilista fa con le stoffe”, commenta – quelle resine plastiche dai mille colori e dalle infinite sfumature di cui ogni volta si innamora, trasformati in oggetti dalle linee geometriche ma morbide che aiutano la donna ad affrontare la vita di tutti i giorni con un pizzico di “amarcord”, suscitato dalle pellicole hollywoodiane della metà degli anni '50; senza dimenticare la realtà, vera fonte di ispirazione per la designer. “Non potrei mai creare qualcosa che non rispecchi la società che stiamo vivendo, altrimenti finirei col fare qualcosa di finto”, spiega. E questo per una che conosce bene non solo i gusti ma le vite delle donne, come Angela, sarebbe uno sbaglio imperdonabile.
Ad aiutarla in questa sua impresa al femminile c'è un vero e proprio “pink team”, un gruppo tutto in rosa, formato da 15 ragazze provenienti dagli istituti d'arte della città. 15 mani di cui Angela riconosce ogni tocco, che nel laboratorio open space di via Santo Spirito 54r, apprendono il duro lavoro dell'artigiano di oggetti preziosi, come si faceva una volta nelle gloriose botteghe fiorentine. “Qui facciamo tutto a mano, anche gli strass vengono incollati uno ad uno. Non ho mai pensato di comprare un macchinario apposito per la stessa ragione per cui qui non ci sono computer: le ragazze devono lavorare con la testa e con le mani. Stiamo anche cercando di lottare per resistere senza internet: è così freddo acquistare un gioiello dallo schermo del pc! Preferiamo che le clienti vengano qui, aprano i cassetti nei quali i bijoux sono sistemati, tocchino il materiale, provino i colori sulla pelle”, commenta ancora Angela.
La forza di Giuggiù è anche questa, aver mantenuto la fisionomia di una piccola azienda artigianale d'eccellenza che punti tutto sulla manualità, l'unicità, la qualità, ma soprattutto sulle donne.
(Il Nuovo Corriere di Firenze, inserto Donne, 19 marzo 2011, pp. 4-5)
Davvero un bellissimo articolo!
RispondiEliminaHo avuto l'onore di conoscere Angela Caputi e devo dire che di persona mi ha trasmesso la grande passione e vitalità che percepivo ammirando i suoi gioielli!
Sono anch'io un' artigiana del gioiello ed in quanto sua grande estimatrice spero un giorno di riuscire a trasmettere come lei tutto l'amore che provo nelle mie creazioni!
Dimentocavo....Complimenti!E' davvero un bel blog e i Post-Articoli sono favolosi, scritti molto bene e sempre con un carattere critico e accattivante allo stesso tempo!
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