martedì 7 febbraio 2012

Cosimo e Antonino (o Storia di santità e poveri cristi)



Questa è la storia di due scelte, e di due uomini.
Il primo si chiama Cosimo e ha un “'de” davanti al cognome. L'altro è Antonino; come tutti gli smilzi e i mingherlini, anche a lui è stato affibbiato il diminutivo. Davanti al nome ha solo un “fra” che, ben presto, sarebbe diventato “san”.
Siamo a Firenze, forse l'avrete capito. Se Cosimo fosse nato nel nostro secolo, lo avrebbero definito “uno con le mani in pasta”; a lui piaceva farsi chiamare “signore”. E lo è stato: il primo Medici degno di essere ricordato, almeno dalla grande storia, come “il vecchio”. Non poteva saperlo ma non gli sarebbe bastato, ambizioso com'era.
Se ha una dote è la prudenza e il naso per gli affari: come le donne dalla carnagione chiara, preferisce l'ombra; dopotutto perché rischiare di bruciarsi se si ha denaro in abbondanza e potere? Dal suo bel palazzo in via Larga, giostra i politici fantoccio a cui ha procurato una poltrona e imbonisce coloro che lo chiamano “magnate” (ovvero, “tiranno”) a suon di fiorini. Con il benestare dei Priori che se la spassano a Palazzo della Signoria, controlla le elezioni, la magistratura, il sistema tributario e, nel frattempo, si riempie la bocca di “libertà” e “repubblica”. Quando le bustarelle non bastano, ci pensano le torri. Come quella da cui precipita Bernardo d'Anghiari, accusato di complotto. “Gli stati non si governano coi paternostro”, commenta Cosimo. (Quando si dice “il governo del fare”). Di questa dichiarazione ne sarebbero pieni i giornali, se fosse successa ieri. Anzi, probabilmente, no.
Anche Antonino pensa che gli stati non si governino con i padrenostro. A lui, poi, le parole “governare” e “paternostro” pronunciate insieme gli fanno proprio venire il prurito; e, infatti, quando scopre che il Papa vuole farlo vescovo, scappa ma viene riacciuffato. Riluttante, per dirla con un eufemismo, accetta l'incarico. Da buon uomo di fede e “di Rinascimento”, riorganizza le istituzioni caritative della città in modo da risparmiare energie e mezzi da ridistribuire tra i bisognosi. Il frate, insomma, ha innate doti da manager ma anche con la sociologia non se la cava male: capisce che nemmeno i poveri sono tutti uguali. Ci sono “i miserabili” – che la povertà se la ritrovano, per così dire, in eredità – e ci sono i “poveri vergognosi”, i nuovi poveri: facoltosi commercianti, artigiani, nobili caduti in miseria per colpa delle tasse. Non vi ho ancora detto che, al Cosimo di cui vi ho parlavo, col tempo era venuto un altro “vizietto”: rovinare i suoi avversari politici sfilandogli le monete dalla saccoccia. Forse le torri non bastavano più o forse s'era messo in testa di riprendersi i fiorini che in passato aveva così generosamente elargito, in cambio di acquiescenza. Per aiutare le famiglie fiorentine defraudate, Antonino chiama 12 persone di fiducia – i buonomini – due per ogni sesto della città, ognuna di levatura sociale diversa, e gli dà una regola: da quel momento avrebbero raccolto le offerte e le avrebbero divise – tutte e in segreto – tra chi non riusciva a chiedere aiuto; per orgoglio, per incapacità sociale. Chissà che non sia andato a trovarlo qualcuno nel sonno, il nostro buon Cosimo, che d'improvviso si rende conto d'“aver del denaro di non buon acquisto” e spende 40mila fiorini per far restaurare il convento nientepopodimeno che da Michelozzo. A quelli della famiglia de' Medici cambia il cuore tutto d'un tratto e, da magnati, diventano benefattori: con una mano frugano nelle tasche e con l'altra si fanno il segno della croce. (Quando si dice “lo stato laico”).

Questa storia me l'hanno raccontata qualche giorno fa: ha cinquecento settant'anni.
La buona notizia, da allora, è che gli affreschi della Congregazione dei Buonomini di piazza San Martino, sono stati restaurati. La cattiva notizia è che la buca delle istanze “per li poveri verghognosi” è ancora lì ed sempre incinta, come la madre degli imbecilli e dei “Cosimo”. A riempirla non sono più nobili caduti in miseria ma imprenditori che hanno perso tutto, commercianti falliti: i borghesi, il “ceto medio”, che dir si voglia. Questi sono i nuovi poveri dei tempi della crisi; nuovi, anche se la povertà sembra sempre vecchia. Come ricchezza e potere, d'altronde, che hanno solo cambiato carnagione e, alla penombra dei palazzi, preferiscono riflettori e lampade abbronzanti. Ai nemici si tappa ancora la bocca con i soldi o con il fango; agli altri li si rimbambisce con tg venduti e programmi tv scadenti e, nel frattempo, li si fa inginocchiare sui ceci con la scusa che “siamo tutti peccatori”. Verrebbe da chiedersi cosa non abbiano capito della regola “raccogli e ridistribuisci, tutto” visto che il pronome indefinito quando vogliono lo sanno usare.
Dicono che san Antonino avesse una voce sgraziata; che, per via della sua corporatura esile e minuta, ebbe non pochi problemi ad essere ammesso tra i domenicani. Poi loro hanno cambiato idea. Chissà che qualcun altro non sia andato a trovarli nel sonno, per par condicio.

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