Questa è la storia di
due scelte, e di due uomini.
Il primo si chiama Cosimo
e ha un “'de” davanti al cognome. L'altro è Antonino; come tutti
gli smilzi e i mingherlini, anche a lui è stato affibbiato il
diminutivo. Davanti al nome ha solo un “fra” che, ben presto,
sarebbe diventato “san”.
Siamo a Firenze, forse
l'avrete capito. Se Cosimo fosse nato nel nostro secolo, lo avrebbero
definito “uno con le mani in pasta”; a lui piaceva farsi chiamare
“signore”. E lo è stato: il primo Medici degno di essere
ricordato, almeno dalla grande storia, come “il vecchio”. Non
poteva saperlo ma non gli sarebbe bastato, ambizioso com'era.
Se ha una dote è la
prudenza e il naso per gli affari: come le donne dalla carnagione
chiara, preferisce l'ombra; dopotutto perché rischiare di bruciarsi
se si ha denaro in abbondanza e potere? Dal suo bel palazzo in via
Larga, giostra i politici fantoccio a cui ha procurato una poltrona e
imbonisce coloro che lo chiamano “magnate” (ovvero, “tiranno”)
a suon di fiorini. Con il benestare dei Priori che se la spassano a
Palazzo della Signoria, controlla le elezioni, la magistratura, il
sistema tributario e, nel frattempo, si riempie la bocca di “libertà”
e “repubblica”. Quando le bustarelle non bastano, ci pensano le
torri. Come quella da cui precipita Bernardo d'Anghiari, accusato di
complotto. “Gli stati non si
governano coi paternostro”, commenta Cosimo. (Quando si dice “il
governo del fare”). Di questa dichiarazione ne sarebbero pieni i
giornali, se fosse successa ieri. Anzi, probabilmente, no.
Anche
Antonino pensa che gli stati non si governino con i padrenostro. A
lui, poi, le parole “governare” e “paternostro” pronunciate
insieme gli fanno proprio venire il prurito; e, infatti, quando
scopre che il Papa vuole farlo vescovo, scappa ma viene riacciuffato.
Riluttante, per dirla con un eufemismo, accetta l'incarico. Da buon
uomo di fede e “di Rinascimento”, riorganizza le istituzioni
caritative della città in modo da risparmiare energie e mezzi da
ridistribuire tra i bisognosi. Il frate, insomma, ha innate doti da
manager ma anche con la sociologia non se la cava male: capisce che
nemmeno i poveri sono tutti uguali. Ci sono “i miserabili” –
che la povertà se la ritrovano, per così dire, in eredità – e ci
sono i “poveri vergognosi”, i nuovi poveri: facoltosi
commercianti, artigiani, nobili caduti in miseria per colpa delle
tasse. Non vi ho ancora detto che, al Cosimo di cui vi ho parlavo,
col tempo era venuto un altro “vizietto”: rovinare i suoi
avversari politici sfilandogli le monete dalla saccoccia. Forse le
torri non bastavano più o forse s'era messo in testa di riprendersi
i fiorini che in passato aveva così generosamente elargito, in
cambio di acquiescenza. Per aiutare le famiglie fiorentine
defraudate, Antonino chiama 12 persone di fiducia – i buonomini –
due per ogni sesto della città, ognuna di levatura sociale diversa,
e gli dà una regola: da quel momento avrebbero raccolto le offerte e
le avrebbero divise – tutte e in segreto – tra chi non riusciva a
chiedere aiuto; per orgoglio, per incapacità sociale. Chissà che
non sia andato a trovarlo qualcuno nel sonno, il nostro buon Cosimo,
che d'improvviso si rende conto d'“aver del denaro di non buon
acquisto” e spende 40mila fiorini per far restaurare il convento
nientepopodimeno che da Michelozzo. A quelli della famiglia de'
Medici cambia il cuore tutto d'un tratto e, da magnati, diventano
benefattori: con una mano frugano nelle tasche e con l'altra si fanno
il segno della croce. (Quando si dice “lo stato laico”).
Questa
storia me l'hanno raccontata qualche giorno fa: ha cinquecento
settant'anni.
La
buona notizia, da allora, è che gli affreschi della Congregazione
dei Buonomini di piazza San Martino, sono stati restaurati. La
cattiva notizia è che la buca delle istanze “per li poveri
verghognosi” è ancora lì ed sempre incinta, come la madre degli
imbecilli e dei “Cosimo”. A riempirla non sono più nobili caduti
in miseria ma imprenditori che hanno perso tutto, commercianti
falliti: i borghesi, il “ceto medio”, che dir si voglia. Questi
sono i nuovi poveri dei tempi della crisi; nuovi, anche se la povertà
sembra sempre vecchia. Come ricchezza e potere, d'altronde, che hanno
solo cambiato carnagione e, alla penombra dei palazzi, preferiscono
riflettori e lampade abbronzanti. Ai nemici si tappa ancora la bocca
con i soldi o con il fango; agli altri li si rimbambisce con tg
venduti e programmi tv scadenti e, nel frattempo, li si fa
inginocchiare sui ceci con la scusa che “siamo tutti peccatori”.
Verrebbe da chiedersi cosa non abbiano capito della regola “raccogli
e ridistribuisci, tutto” visto che il pronome indefinito quando
vogliono lo sanno usare.
Dicono
che san Antonino avesse una voce sgraziata; che, per via della sua
corporatura esile e minuta, ebbe non pochi problemi ad essere ammesso
tra i domenicani. Poi loro hanno cambiato idea. Chissà che qualcun
altro non sia andato a trovarli nel sonno, per par condicio.
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