giovedì 22 marzo 2012

Vedo, sento, parlo. Scrivo.


Scrivere sembra semplice, forse perché è una delle prime cose che impariamo a fare da bambini, dopo camminare e parlare. Prima sono versi e passi incerti con una manina attaccata a una sedia o a stringere i pantaloni delle madri; poi un giorno, non si sa come, decidiamo di dare a suoni e movimenti un senso compiuto, che si trasformano in parola, in un passo. Lo facciamo per istinto.
A scrivere, invece, bisogna imparare. Una lettera per volta, riempendo quaderni a righe, una più grande e una più piccola per disegnare bene le maiuscole e le minuscole, con nel pugno una penna cancellabile blu; perché imparare a scrivere significa soprattutto sbagliare. Cancellare. Riscrivere da capo. Cancellare e ancora avanti finché la forma non diventa più sicura, finché la mano non ne memorizza i tratti.
Quando si è bambini scrivere è un'azione molto simile a quella che fa un pittore inesperto di fronte a un piatto pieno di frutta. Ne segue il profilo, i contorni, le curve e i rettilinei, cercando di restituire nel foglio un'immagine il più possibile vicina alla realtà, alla lavagna. Solo dopo capisci che “lo stai facendo nel modo sbagliato” come c'è scritto sopra le immagini “demotivational” di Facebook. Ma devi essere fortunato perché può anche capitarti di pensare per tutta la vita che raccontare, scrivere, sia come tracciare una riga su un foglio con sotto la carta carbone: una copia perfetta dell'originale, che poi sarebbe quello che vivi, quello che vedi, che senti con le orecchie e con il naso, con i pori della pelle. Devi essere fortunato o forse è il contrario e devi avere la sfortuna più cagna – perché poi non si può tornare indietro – per capire che niente segue linee definite, curve, rettilinei perfettamente squadrati, piuttosto che tutto è un pezzo, un particolare, uno scorcio di qualcosa di molto più grande e che non si presenta mai in ordine, ma nel caos, nel movimento.  

1 commento:

  1. Albert Camus: Chi è felice non scrive romanzi!
    Vero, falso?
    Cesare Pavese "Lavorare stanca" o meglio "Scrivere stanca?"
    Sapere che scrivere è cancellare, riscrivere e cancellare ancora, è un inizio consapevole di "scrittura". Auguri, allora di buona scrittura! Franco

    RispondiElimina