mercoledì 16 febbraio 2011

Di chi è la colpa?

Domenica scorsa un milione di donne ha riempito le piazze al coro di “Se non ora quando” e io ero a fare shopping all'outlet di Barberino del Mugello. Mi sono sentita una borghesuccia vuota e superficiale. Quelle donne sono scese in piazza per rivendicare anche il mio di diritto a non essere considerata solo un buco e io nel frattempo mi pavoneggiavo di fronte a uno specchio con un nuovo vestito? Ho “peccato”, e per ben due volte. Perché ne ho comprato due, di vestiti. E non ci sono scuse soprattutto per una come me che è sempre pronta ad alzare quel suo ditino e a dire “questo non proprio si fa!”. La sindrome della maestrina diligente ce l'ho sempre avuta, d'altronde sono una bilancia. Ieri però mi sono sentita come una scolaretta secchiona che si rifiuta di passare il problema di matematica e poi si accorge di aver fatto quel piccolo, minuscolo errore che le costerà una A- . Insopportabile. Così sono andata sul sito di Repubblica e ho guardato qualche video della manifestazione di Roma: la sagra della retorica al femminile. A parte che non se ne può più di elenchi e liste, da quelle di pseudo-denuncia (“Vieni via con me” docet) a quelle della spesa che le casalinghe-lavoratrici disperate avrebbero lasciato a metà per andare in rivolta in tutta Italia.

Ma come è possibile che proprio coloro che lottano contro la visione stereotipata della donna si nutrano anch'essi di stereotipi? “Io sono una cassaintegrata, una ricercatrice, un'impiegata, una commessa, un'universitaria, una casalinga” recita qualcuno dal palco di Piazza del Popolo. Come se si possa essere tutte queste cose solo se si è una donna. Ok, vi lascio passare la casalinga perché ancora non è stata provata l'esistenza sulla terra di uomini che lasciano il lavoro per seguire la casa e i figli, ma il resto no. Si stanno confondendo due questioni ben distinte: la lotta sacrosanta per un'immagine della donna diversa da una bambola gonfiabile e un'altra lotta sacrosanta, quella per una vita dignitosa. E questo tocca tutti signore mie, non solo noi donne.

Anche gli uomini potrebbero indire una bella manifestazione per dire che nemmeno loro sono tutti così, nemmeno loro vanno con minorenni o puttane/puttane minorenni, nemmeno loro guardano una donna solo “dal collo in giù”. Ne avrebbero tutto il diritto, forse anche più delle donne, eppure non lo fanno. Invece noi ci sentiamo sempre chiamate in causa, abbiamo la necessità quasi impellente di sottolineare quanto la vita ci vada comunque peggio dei maschi, quanto facciamo trecento cose alla volta – partoriamo (PARTORIAMO CAPISCI?), lavoriamo a casa e fuori casa – eppure siamo sottopagate, discriminate per il solo fatto di essere donne e, probabilmente, madri. Ed è tutto vero. Puliamo, rassettiamo, stiriamo, laviamo, cuciniamo, badiamo ai figli, spesso lavoriamo meglio e più di loro. E veniamo pagate circa il 20% in meno. Potete calcolare voi stesse il divario tra la vostra retribuzione e quella dei vostri colleghi uomini sul sito della Commissione europea occupazione, affari sociali e inclusione (http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=835&langId=i7),se proprio non potete farne a meno.

Il problema però sta a monte. Cosa avranno fatto le donne che hanno manifestato una volta tornate a casa? Secondo me, almeno la metà si sarà messa a stirare una montagna di camicie e a preparare il ragù sotto gli occhi del marito e dei figli che magari aspettavano il fischio d'inizio di Juventus-Inter comodamente seduti in poltrona. Ma chi li ha fatti diventare così? Le stesse donne che mezz'ora prima urlavano a squarciagola il loro dissenso. Il seme del maschilismo è femmina, ecco cosa penso. Dalle mie parti se un bimbo piange di cuore per un capriccio che la madre non vuole soddisfare – ad esempio, l'ennesimo giocattolo – arriva la nonna che le dice “e dabbillu chi es mascittu”, “daglielo, che è un maschietto”. Cosa si può pretendere da un bambino che cresce sapendo che il solo fatto di avere un pene gli permetterà di avere tutto ciò che vuole?

Alle bimbe va molto peggio. Qualche mese fa sono stata in un negozio di giocattoli con mia sorella; doveva comprare un regalo per la figlia di una sua amica. C'ero stata già a dicembre ma, in preda al panico pre-natalizio, non lo avevo notato; avendo solo nipoti maschi poi, non mi capita spesso di bazzicare tra winx e barbie. Ma vi assicuro che, in confronto a ciò che ho visto tra quegli scaffali, quelle donnine così smaliziate potrebbero essere innalzate a baluardo del femminismo. Facendo qualche piccola ricerca su internet, infatti, ho scoperto che è stata una certa Ruth Handler a inventare la prima bambola con le sembianze di donna insieme al poco convinto marito, il padre della Mattel Elliot Handler. E che donna: lunghi capelli corvini, orecchini a cerchio, rossetto rosso e un costume intero zebrato. Un costume intero che lasciava scoperte le cosce e, per di più, zebrato; una bambola così in mano a delle bambine borghesi, ci pensate? E nel 1959, quattro anni prima che esplodesse lo scandalo della minigonna. È curioso come, con il tempo, il suo nome sia stato accostato allo stereotipo della sciacquetta rifatta e senza cervello. Forse Skipper – la sorella minore e sfigata di Barbie, per i maschietti “sintonizzati” – ci ha messo lo zampino, chissà.

Comunque, scoprire questa storia mi ha rincuorata. Quando mia figlia mi chiederà di comprarle “barbie sposa” potrò dirle che anche lei per un po' è stata una donna con le palle. Ma se vorrà la cucina? Il passeggino? Il set per il bagnetto? Quello dei pannolini? E quello da stiro? Il bambolotto che piange? La lavatrice? Il seggiolino baby amore? La carrozzina? L'aspirapolvere di Hello kitty? Il lettino? Il dolce bebè nursery center? Il set per la pappa? Il carrello della spesa? Potrei continuare, ma vi risparmio. Questi sono solo alcuni degli articoli più venduti da uno dei più grandi negozi di giocattoli italiani; non sardi, siciliani, campani, pugliesi. Stiamo tirando su eserciti di casalinghe e manco ce ne rendiamo conto. Mentre i bimbi giocano a diventare supereroi, gormiti, combattenti kugan, super sayan alle bambine riserviamo un bel training autogeno di economia domestica, gli inculchiamo che un giorno non troppo lontano anche loro potranno lavare dei veri panni con una vera lavatrice e del vero detersivo, wow!

Ma che diavolo stiamo facendo, mi chiedo. E mentre lo faccio mi viene un'insana voglia; quella di intrufolarmi nelle case delle donne che hanno manifestato domenica mentre loro stirano e cucinano e marito e figli se ne stanno inebetiti di fronte alla tv. Però son già sicura di cosa troverei: scommetto 50 euro su Ciccio bello e carrozzina. Le bimbe più viziate avranno anche il resto, oltre una sfilza di barbie; le più emancipate anche un supermercato in miniatura nel quale esercitarsi a far di conto. Mi passa la voglia di avere figli quando penso a queste cose. Perché capisco che una madre acquisti boiate simili alla propria bambina solo per farla contenta, perché è quello che vuole ricevere per Natale o il compleanno, eppure rabbrividisco quando le vedo per strada, mamma e figlia con un passeggino rosa shocking per una.

La colpa non è solo loro, certo. Una buona fetta di responsabilità è delle nuove generazioni di compagne, mogli, fidanzate, delle donne con cui gli uomini dividono vita e casa. Siamo delle rompipalle. E questo è innegabile. Sempre giù a criticare, a dare “consigli” su come le faccende domestiche debbano essere fatte; già non le fanno volentieri e noi, idiote, gli diamo pure la scusa perfetta per evitarle: “tanto come le faccio io a te non vanno bene”, dicono. Ed è vero. Ma, per favore, sforzatevi maestrine diligenti, mandate giù una maglia rimpicciolita dopo un lavaggio a 50 gradi, un letto stropicciato, un piatto con ancora qualche traccia di unto. Chissà che un giorno, quegli orribili marchingegni giocattolo per bimbe non diventino unisex. O Spariscano, che ne dite?


(un estratto di questo post è apparso tra i commenti al Barbablog di Daria Bignardi, pubblicato sul Vanity Fair del 2 marzo del 2011, pag. 30) 

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