Un paio di settimane fa sono stata per la prima volta a un Gran Ballo. Un ballo vero, con tanto di orchestra che suonava tra l'indifferenza degli invitati – troppo intenti a svuotare il cestino del pane – e di un esercito di camerieri in divisa bianca. Ma partiamo dall'inizio.
I
Ero nel pallone, tanto per cominciare. Cosa indossare? Cosa dire? Cosa aspettarmi? Ecco alcuni dei “cosa” che mi ronzavano in testa, quando non pensavo ai “perché”.
Tre ore, un attacco di nervi e un minuto dopo ero pronta: con l'abito comprato per il matrimonio del fratello del mio ragazzo e un paio di scarpe col tacco. Non li mettevo da allora, i tacchi voglio dire. Da quattro lunghi anni di ballerine rasoterra. Ero a mio agio; più o meno come si sarebbe sentito un trampoliere inesperto – e pure ubriaco – nell'attraversare un filo di burro sospeso a due metri d'altezza.
Erano i primi giorni d'autunno, ma faceva freddo. Un freddo umidiccio che t'entrava fin dentro le ossa. E c'era la nebbia. E pioveva, fitto fitto. Pazienza, mi dico: “sto andando lì per lavorare, mica per fare una sfilata”. Ma la cosa non è che mi consoli un granché.
II
Arrivata l'ora di uscire, lascio la mia stanza con la sensazione di dover andare dal dentista. Incerta sui miei tacchetti Albano e puntualissima, come sempre, mi presento davanti agli uomini della sicurezza. Con qualche difficoltà, li convinco che non sono una hostess e faccio il mio ingresso trionfale nella sala addobbata a festa. E deserta. Non ero in orario: ero persino in anticipo. Vedendomi tutta sola a gironzolare per la sala facendo finta di ammirare gli affreschi delle pareti, son sicura che qualche cameriere abbia iniziato a provare quasi pena per me.
III
Finalmente arriva momento della cena. Rassicurata dalla presenza di qualche faccia conosciuta e dal fatto di non dover più vagabondare per i corridoi, inizio a guardarmi intorno. Davanti a me una schiera di donne strizzate in eleganti abiti da sera sfilavano con il naso all'insù mentre, con la coda dell'occhio, si assicuravano di non essere passate inosservate. È solo per un motivo che hanno passato tutto il pomeriggio tra estetista e parrucchiere. Irretire qualche buon partito? Magari. Essere ammirate. E invidiate; dalle donne, ovviamente. Dei poveri accompagnatori che le aiutavano a tenersi in equilibrio sui loro tacchi 12, a nessuna sembrava importasse qualcosa. Eppure, erano loro i più eleganti “del reame”. E la Principessa (ve l'avevo detto che era un ballo vero!) che, annunciata in pompa magna, varca l'ingresso della sala alle nove in punto.
IV
Abbondare nelle porzioni, si sa, non è per niente chic. E la cena lo è stata parecchio (per dirla in modo chic). Oltre che veloce, come se qualcuno avesse molta fretta (o molta fame, chissà). Con ancora l'ultimo boccone di dolce in bocca, alcuni invitati iniziano a ballare: mentre le luci si abbassano e gli abiti delle dame volteggiano sull'aria a ritmo di valzer, la Cenerentola che è in me sta per prendere il sopravvento. Improvvisamente, però, la musica cambia e, con lei, la luce: ora vedo distintamente la principessa e quella donna anziana vestita di paillette dorate che, al centro della pista, insiste per ballare con un imbarazzato giovane in frac. Per me è troppo: vado via.
V
Mentre nei corridoi del palazzo risuonano note jazz, qua e là si sente il tacchettio delle signore scendere i gradini fino all'uscita. Piove a dirotto e fa ancora più freddo. Davanti a me, riparate sotto un ombrello, riconosco due giovani cameriere, ora in jeans e cappotto. Anche loro aspettano qualcuno. E si lamentano, come la dama impellicciata e il suo attempato cavaliere, in piedi accanto a me: i taxi sono tutti occupati. “Il destino ha proprio uno strano senso dell'umorismo”, penso tra me e me.
È mezzanotte.
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