Lucia ha 55 anni ed è disoccupata da 2. Nessuno le ha dato una mano, nonostante l'abbia chiesta a molti. E non ha una casa. Ha perso anche quella.
Quando si parla di crisi economica, di disoccupazione e povertà così, in astratto, non si pensa che dall'altra parte delle parole ci siano persone in carne ed ossa. Anche io ho fatto questo errore, e pure spesso. Così, quando mi son trovata di fronte Lucia, è stato come ricevere un pugno in pieno stomaco. Glielo si leggeva in faccia il dolore che provava. Non è retorica, non è una sensazione: mentre parlava a stento riusciva a trattenere le lacrime. E io mi sono sentita profondamente in colpa per le domande idiote che sono stata costretta a porle quando l'ho vista alla fermata dell'autobus. “Che cosa si aspetta dall'anno nuovo per la sua città?”. Patetico. Ma cosa vuoi che si aspetti una donna di mezza età che ha perso il lavoro e non ne trova di altro? Avrà tempo di pensare alla sua città, a quella che le ha elegantemente voltato le spalle? Che discorsi. Mentre mi guardava fisso negli occhi e mi raccontava, in poche parole, la sua storia mi sono chiesta che diritto avessi io di irrompere così nella sua giornata se poi non avrei potuto fare un bel niente per lei.
Ormai Lucia non crede più in niente e in nessuno. E come biasimarla. Fuori c'è un intero esercito di giovani come me: laureati, disoccupati e pronti a tutto pur di lavorare. Lei non ha speranze. Ed è colpa nostra: mia, tua, loro, di tutti, di ognuno di noi che, con indifferenza, ha permesso che Lucia si sentisse così.
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