giovedì 30 settembre 2010

Quella gran culo di Cenerentola

Qualche giorno fa ho visto “Il diavolo veste Prada”, forse per la millesima volta.
Questa, però, è stata diversa. Le altre novecentonovantanove, come mio solito, ho guardato al lato romantico della cosa: la ragazza con gli occhioni da cerbiatto che, in barba a tutto e tutti (il ragazzo che la molla, il padre che le fa la ramanzina, un capo cattivo, che più cattivo non si può), riesce a realizzare il suo sogno. In quel momento IO ero Andy Sachs e le due ore di film, il mio futuro formato riassunto.

Volete sapere che ho visto ieri? Una storia al limite dell'impossibile, ecco tutto. Sarà che sono in piena fase di “disillusione post-lauream”, sarà – semplicemente – che l'ho visto troppe volte e ormai non attacca più. Non attacca più la menata infiocchettata da “fabbrica dei sogni”: il brutto anatroccolo – in realtà una bonazza solo spettinata e mal vestita – che lascia il suo angolino sperduto della vasta America con in testa un progetto per la vita: scrivere per “Vanity Fair” e il “New Yorker” ('na cosetta così) e, invece, si ritrova con le spalle al muro, bramata dalle tentazioni del luccicante mondo della moda.

Riuscirà la nostra eroina a resistere con la sola forza dei suoi sogni? (Ce lo chiediamo tutti, col patema d'animo, già dalle prime scene).

Ovviamente, no. Non prima di aver mandato all'aria la sua vita e rendersi conto che, in fin dei conti, stava meglio prima. E poi riprendersi tutto; con gli interessi, per giunta (per chi non avesse visto il film, la protagonista, alla fine, trova anche un lavoro). Della serie: tradisci gli amici e l'amore e avrai pure un premio! Siamo seri: quando succedono queste cose, nella vita vera? Di trovare un posto per cui “un milione di ragazze ucciderebbero”, come si ripete almeno dieci volte durante il film (tra l'altro, commettendo un grave errore di grammatica, dal momento che “un milione” è singolare), intendo – perché di “scornamenti” tra amici e fidanzati, invece, ce ne sono fin troppi. Quando? Mai, vi dico. Fuori è tutta un'altra storia. Chiedetelo ai milioni di ragazzi italiani che si trovano con un pezzo di carta in una mano – e un pugno di mosche nell'altra. Chiedetelo a quel giovane su 4 che sta ancora a casa con i suoi perché non ha nemmeno i soldi per pagarsi l'affitto. Chiedetelo agli eterni stagisti che, pur di imparare, arrivano alla soglia dei trent'anni senza aver versato neanche un contributo. Già, imparare, bella storia anche questa: la scusa perfetta per datori di lavoro sempre più gretti e una vera e propria condanna per centinaia di migliaia di disperati che oramai lavorano per la gloria. Perché, dopo 12 ore passate a farvi il mazzo, pretendete anche di essere pagati? Ingrati che non siete altro.

Non è colpa del film, sia chiaro. Anzi, in passato, storie come queste mi hanno fatto quasi pensare di avere il mondo in tasca. Quando però “il mondo” era fuori dalla mia finestra e io dentro a studiare una marea di esami. Ora che, invece, me lo ritrovo di fronte – e me lo sento addosso – ho capito una cosa: i film son sempre quelli, l'unica ad essere cambiata sono io, ecco tutto. Son sicura che tante ragazze un po' più giovani di me, quel solletico allo stomaco mentre guardano Andy Saschs correre per le strade di New York, lo provano ancora. E meno male. Se non fosse così, mi preoccuperei: sognare aiuta davvero; e, quando stai ore interminabili sui libri, viene anche molto facile.

Non che non lo faccia ancora: sogno, eccome, solo che non mi basta più.

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