lunedì 13 settembre 2010

La memoria di Firenze

Le targhe commemorative che decorano i muri di decine delle vie e dei viottoli del centro di Firenze quasi mai si trovano all'altezza del nostro sguardo; spesso, le si nota per caso: ci guardiamo intorno, magari mentre siamo al telefono o aspettiamo qualcuno, alziamo gli occhi ed eccole lì, quasi ad attendere di essere notate. Poche parole scritte in stampatello ci mettono di fronte a un fatto: che una vita lì è nata, si è spenta o semplicemente è passata di là. Centinaia di nomi di artisti, poeti, inventori, medici, condottieri, politici, uomini e donne che hanno meritato l'onore più grande che un uomo possa fare ad un altro: essere ricordato. Perché “... i morti non muoiono, non moriranno mai finché un vivo gli darà cinque minuti ancora, prima del silenzio”, come diceva il giornalista Igor Man. Una finestra su un passato indelebile che si schiude di fronte ai nostri occhi, come se per un momento la nostra città con una voce roca e profonda, iniziasse a raccontarci una storia. E, un po' come fanno i nonni con i nipotini, ci prendesse sulle ginocchia e, aprendo una scatola di latta arrugginita, ripercorresse la sua vita indicando tra le foto stropicciate le persone che ha incontrato lungo il suo cammino: chi è si è fermato solo per qualche tempo e chi, invece, non è più andato via. Passeggiando per le vie di Firenze la sensazione è la stessa: quella di trovarsi di fronte ad un album di famiglia con i volti dei parenti più stretti – quelli che ci hanno accompagnato per tutta la vita – ma anche di quelli più lontani, che si vedono raramente, ma sempre con piacere. È come se la città stessa ci prendesse per mano e ci portasse per le sue vie, con l'indice alzato ad indicarci i luoghi nelle quali quei ritratti sono stati scattati: le case della memoria. Ce ne sono a decine: dalla famosissima Casa di Dante di via Santa Margherita a quella nei pressi via de' Cerretani dove soggiornò Wolfgang Amadeus Mozart, allora quattordicenne, nel suo primo viaggio in Italia, fino al portone di legno scuro di piazza de' Pitti dove, fra il 1868 e il 1869, Fedor Mihailovic Dostoevskij scrisse ‘L'idiota’. “Sapessi quante volte l'ho visto con Anna, sua moglie, fare lunghe passeggiate al Giardino dei Boboli. Gliel'aveva prescritto il medico, per la gravidanza” aggiungerebbe la nostra città, se potesse parlare. “Poco più avanti, all'ombra della colonna di Cosimo I su piazza San Felice, la poetessa vittoriana Elizabeth Barrett scappò da un padre despota e coronò il suo sogno d'amore sposando il poeta e drammaturgo britannico Robert Browning. Tra quelle mura trascorse il resto della sua vita e scrisse una delle sue odi più suggestive “Casa Guidi's windows”: un inno alla libertà e all'amore ritrovato nella sua nuova patria, l'Italia” continuerebbe nel suo racconto. Quasi un secolo più tardi, a pochi passi da quelle finestre, Carlo Levi scriveva “Cristo si è fermato a Eboli” mentre si rifugiava dai fascisti sotto il boato delle bombe della Seconda guerra mondiale. Storie di vita, prima che vicende raccontate dai libri di storia e dalle pagine di letteratura, che attraverso quelle semplici parole scolpite ci aiutano a sentire quei nomi altisonanti più reali, umani, quasi tangibili. “Sapessi quante ne hanno combinato alcuni!” direbbe la città con un sorriso comprensivo. “Michelangelo non faceva altro che abbandonare al bordo della strada mucchi di marmo anneriti anche per anni prima di decidersi ad usarli, tanto che la via di casa sua finì per essere chiamata da tutti via dei Marmi sudici (l'attuale via Ghibellina). Per non parlare del giovane Meucci! Mi ricordo ancora quando, tornato a casa, al numero 44 di via dei Serragli, ne prese di santa ragione per aver fabbricato dei razzi troppo potenti per la festa del Granducato”, riderebbe. Firenze è una città che parla, confida i suoi segreti, a chi è capace di ascoltare. A suo modo, quasi bisbigliando, per non disturbare le nostre vite indaffarate e frenetiche. Basta alzare gli occhi per poterla sentire: proviene da quelle righe in stampatello, il fermo immagine di un passato che, immortale, ci racconta chi siamo.

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