domenica 8 maggio 2011

Ma quanto sono belli gli "eversivi" della Corona?

“Sei felice?”. È una frase che mi ha fatto sognare appena l'ho letta su Corriere.it. Non tanto l'abito di Kate (un po' sì, lo ammetto...) o la schiera di piccole damigelle che sfilava lungo le navate dell'abbazia di Westminster. Ma quella domanda, semplice e diretta, rivolta da una donna all'uomo con cui ha appena giurato di vivere “finché morte non li separi”. Una di quelle frasi che un po' tutti vorremmo fare al nostro compagno, prima o poi. Ma non osiamo mai pronunciare.

Ci si sente goffi a parlare d'amore, chissà poi perché. Forse abbiamo paura che la risposta non sia esattamente quella che ci aspettiamo, di ricevere in cambio una mezza verità o di non essere capiti. Rettifico. La maggioranza delle persone ha di queste paure. Perché ce ne sono delle altre che di tutti questi pensieri se ne fregano e hanno l'ardire di pronunciarle, queste benedette parole. Ma forse nemmeno pensano che sia un ardire: lo dicono e basta, naturalmente come il respiro che viene fuori dal petto. Non è che dici: “Ok, ora inspiro e ora espiro”. Lo fai e basta.

Un uomo così lo ha raccontato Roberto Saviano in una puntata di “Vieni via con me” parlando dell'amore tra Mina e Piergiorgio Welbi. Non so se avete ascoltato o letto della loro storia (ne vale la pena, giuro): io non riesco più a levarmela dalla mente. La storia, tutta – felicità, speranza e dramma insieme – e quella domanda che Piergiorgio fa a sua moglie poco prima di morire: “Sei stata felice?”. “La migliore delle vite possibili, ho vissuto”, le risponde Mina. Saviano lo ha ripetuto tante volte qual è secondo lui la forza di una frase che sembra strappata da una pagina di letteratura: la sua onestà. Mina Welbi ha pensato che avrebbe potuto fare una vita diversa ma ogni volta è arrivata alla stessa conclusione: che quella che ha vissuto è stata senz'altro la più bella vita che avrebbe mai potuto vivere.

Certo, l'amore di William e Kate non ha nulla di quel sentimento consumato nel dramma della malattia. Entrambi sono giovani, ricchi, belli, in salute, hanno davanti a loro un futuro da fiaba. Eppure l'intensità di quella domanda io l'ho sentita lo stesso. E come me credo anche i due miliardi di persone che hanno sognato con loro dagli schermi di tutto il mondo. Qualcuno si è pure dato malato, mi hanno detto; altri sono addirittura volati fino a Londra pur di assistere in diretta alle “nozze del secolo”.

Io non lavoravo, quel giorno. Ma non ho guardato la tv; un po' spinta dal classico “e chi se ne frega?”, un po' dalla mia ostinata volontà di essere sempre controcorrente: beh, ho fatto una stupidaggine. Per non dire di peggio. Me ne sono accorta un attimo dopo aver letto il titolo dell'articolo pubblicato sul Corriere. E poi la sera stessa, dopo aver parlato per mezz'ora di quanto l'abito di Kate somigliasse a quello di Grace Kelly, quando mia madre mi ha detto, sorridendo: “Hai sentito cosa gli ha detto mentre scendeva dalla carrozza?”. Oltre ad aver finalmente capito da chi ho ereditato il mio romanticismo, ho capito anche un'altra cosa.

Quella che si è celebrata in mondovisione è la prima unione fondata sull'amore di tutta la storia della casa reale. William e Kate si sono conosciuti al college, hanno fatto l'amore, hanno convissuto, si sono presi e lasciati come una coppia qualsiasi. Anche se la loro non lo era affatto dato che il “lui” in questione era niente po po di meno che il principino dei Windsor. Se questa non è una rivoluzione, ditemi voi cos'è. Certo, sarebbe molto più semplice pensare che avrebbero potuto che ne so, scappare e arruolarsi nei corpi di pace; pensare allo spreco di denaro, al fatto che sia inconcepibile come una famiglia possa portare avanti un potere su base dinastica, insomma solo per il fatto di avere il sangue blu, e sentite un po': per volontà divina.

Sarà per una questione caratteriale o per colpa del segno zodiacale che mi ritrovo, ma io ai gesti eclatanti, alle rivoluzioni che partono dallo stomaco preferisco quelle che prendono il via dalla mente. Gli animi prendono fuoco con molta facilità, per motivi spesso futili. E, con altrettanta facilità, si spengono. Chi fa il suo e cerca di cambiarlo dall'interno, il sistema, invece, non si limita a cavalcare l'onda, ma continua a remare anche con la bonaccia: farà il doppio della fatica, forse non diventerà mai un eroe da ricordare, ma il minuscolo risultato che avrà raggiunto non glielo leverà nessuno, e da lì quelli che verranno dopo potranno partire per andare dove vorranno.

William e Kate a loro modo hanno sfidato la casa reale. Perché lui ha il sangue blu e lei rosso come tutti gli altri (sì, è ricca. Ma da quando in qua è una colpa?). Perché lei ha deciso di passare la notte prima delle nozze in un albergo e non, come direbbe l'etichetta, a Bukingam Palace. Perché il loro è il primo (almeno ufficialmente) matrimonio già consumato. Perché divideranno casa con Harry (il fratello di William) almeno finché non decideranno dove vivere. Insomma, perché hanno creato quello che i giuristi chiamerebbero “precedente”, un “modello per le future interpretazioni”. E se lo fai, non puoi tornare indietro – almeno non passando inosservato. Le regole reali da troppo tempo sotto naftalina sono state messe in discussione non da “uno del popolo” ma da un reale in persona e questo non può che significare qualcosa.

Che dire, dunque? Viva William & Kate!

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