
Mentre ieri facevo il bucato, mi è caduto l'occhio sul flacone dell'ammorbidente: “aroma therapy ambra e fiori di vaniglia”, leggo sull'etichetta. Mi è bastato aprire il tappo per rendermene conto: non aveva niente della vaniglia – che, tra le altre cose, mi piace da matti – né tanto meno dell'ambra. “Ma poi, a pensarci bene, l'ambra che odore ha?”, mi sono chiesta. Nel dubbio, ho addirittura fatto una breve ricerca su internet anche se la risposta già la sapevo: l'ambra è un fossile, non ha alcun odore. Tutto questo mi ha fatto pensare ad una cosa: perché noi donne ci lasciamo abbindolare da una bella confezione e un mucchio di parole ben disposte su un flacone, quando dietro non si nasconde che un detersivo che odora di detersivo? E, allo stesso modo, perché spendiamo i nostri soldi in improbabili cosmetici che promettono di farci sentire più giovani, belle e magre? È come se vivessimo in un eterno comparativo di maggioranza nel quale la regola è essere “più … di” , una sorta di undicesimo comandamento da seguire. Ma com'è che siamo diventate così severe e ciniche verso noi stesse? Che la colpa sia davvero della pubblicità e dei modelli che i mass media, alla lunga, riescono ad imporre come “normalità”? Molti pensano di sì. E, in fin dei conti, non hanno tutti i torti. Accendete la televisione e aspettate qualche minuto: noterete come la maggior parte degli spot che pubblicizzano un prodotto femminile non parla alle donne ma agli uomini; o, meglio, di ciò che noi donne possiamo fare per piacere ad un uomo: comprare un reggiseno non perché è comodo o per evitare “l'effetto gravità”, ma per risultare più sexy; scegliere quel deodorante per avere ascelle “più morbide da accarezzare”, non perché vi permetterà di rimanere fresche durante 8 ore di lavoro senza aria condizionata; mangiare un po' di gorgonzola per rimorchiare un bel cameriere che, con un'occhiata d'intesa, vi chiamerà “bella topolona”. Vogliamo davvero essere chiamate così? Io non credo. Ma non è questo il punto. Il punto è che ormai ci abbiamo quasi fatto l'abitudine: la nostra “soglia di omologazione” si è sviluppata a tal punto che non facciamo più caso a quello che diciamo, facciamo, compriamo, indossiamo, mangiamo, pur di aderire a un modello che qualcuno a creato con un solo scopo: vendere. Il mio è prima di tutto un mea culpa. E mentre lo faccio penso alle stupidaggini che riempiono la mensola del mio bagno e della mia camera da letto: creme anti-cellulite a effetto ultra rapido, stic per occhiaie, creme liscianti per capelli, tanti di quei soldi buttati al vento e zero risultati: ho ancora i buchetti nelle cosce, quei brutti segni bluastri sotto gli occhi e i capelli ricci. Eppure, alla fine, va bene così. Mi guardo allo specchio: non sarò una “topolona da pubblicità”, ma mi riconosco.
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