venerdì 16 agosto 2013

Questioni di ... costume


Qualche giorno fa ho ne ho avuto la conferma: non sono così pochi a pensare che sia strana, proprio strana la questione dei costumi. E non mi riferisco alle fantasie 2013 di bikini, alle brasiliane, alle fasce o alla lotta tra gli estimatori di boxer e quelli di mutande (alzi la mano chi preferisce le seconde e poi la abbassi subito e vada a nascondersi per la vergogna).
Per 345 giorni all'anno frequentiamo, vediamo delle persone vestite. Andiamo al supermercato: persone vestite. In ufficio: persone vestite. Al cinema: vestite. In pizzeria: vestite. Per strada: vestite. Pensate a un luogo qualsiasi che non sia la vostra casa e il vostro letto e ripetete con me: “vestite”. Addirittura quando in uno qualsiasi di questi posti vediamo qualcuno (di sesso femminile) con meno abiti addosso di quanto non precetti il nostro costume sociale storciamo il naso: “Ma hai visto che scollatura ha quella?”, “E quella? Avrebbe fatto prima a non metterla proprio, la gonna!”. Cioè le chiamiamo “quelle”; nemmeno un sostantivo, usiamo un pronome dimostrativo come se volessimo tenere le distanze da simili individui che fanno la pernacchia alla decenza. Ecco a che punto siamo.
In questo post non si parla di invidia, badate bene. Certo, quando vedo una che si porta a spasso una quinta quasi come fosse un oggetto estraneo al suo corpo, posso pensare che davvero se esiste un dio o qualcuno che ha deciso “metto un po' di questo, un po' di quest'altro”, ecco con uno di quei “po'” avrebbe potuto fare delle distribuzioni più eque tra me e quell'altra (tanto per tornare al dimostrativo), quella tizia (sostantivo ma usato con accezione spregiativa), mia vicina di asciugamano. Ma questa, come si dice, è un'altra storia. Mettiamo questa tizia, va bene questa donna, questa bella e prosperosa donna che sta a prendere il sole sulla spiaggia in due pezzi, un tendaggio che copra tutto quel “bendidìo”; mettiamo che incontri qualcuno, quante volte capita: un collega, un amico, un'amica, un conoscente, il postino, il commesso del supermercato in cui va sempre, che ne so. Ovvero due che si vedono sempre vestiti perché vogliono vedersi tali, perché nessun istinto sessuale o sentimentale li induce a vedersi diversamente, improvvisamente si vedono in mutande.
Peggio (o meglio, a seconda di come la si pensa a riguardo) va a chi è single ma un uomo o una donna “bersaglio” l'hanno già: c'è qualcuno (di sesso maschile, ovvio) che si domanda perché ci si affatichi tanto per undici mesi a corteggiare una se poi basta aspettare agosto per vederla svestita. E chiaro poi che una non la vuoi vedere come mamma l'ha fatta per dirle “ah, quindi anche tu hai la pallina nell'ombelico!” però non è sbagliato pensare che in estate ci sia una strana accelerazione, se non altro visiva, nei rapporti con le persone.
E gli incontri estivi? Quelli che nascono sulla spiaggia: ci avete mai pensato? Le domande sono quelle di sempre – lavoro, interessi, hobby, opinioni – solo che mentre sei intento a spiegare turni e mansioni, a raccontare aneddoti o a spiegare la tua ricetta per sconfiggere la disoccupazione giovanile hai semplicemente le chiappe al vento.
La questione si capovolge a vacanze finite. Siete a casa, state per infilare un abito e squilla il telefono ma il telefono è in soggiorno e in soggiorno ci sono le finestre aperte. Cosa fate, non rispondete? Giammai! Così, in un attimo la trasformazione: non siete più quelle ragazze, quelle donne che fanno un abbonamento in palestra solo per avere una tessera in più da mettere nel portafoglio ma siete una delle sorelle di “Occhi di gatto”; scarabocchiate una pianta, un piano di evacuazione della casa sulla carta igienica, con tanto di vie di fuga e mappa degli ostacoli, sgusciate tra i mobili, improvvisate il passo del giaguaro sul pavimento, afferrate uno strofinaccio, un cuscino, il lembo di una tenda e con cui fasciarvi, bardarvi in un improvvisato shador, pur di non farvi vedere “nude”. E così continuo a non capire. Continuo a non capire e a preferire l'inverno!

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